Archivi del mese: settembre 2007

Patrick McGrath, “Acqua e Sangue”

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Questo è un libro capitatomi tra le mani per caso, come copia omaggio di una promozione per un acquisto di tot valore, e sostanzialmente scelto altrettanto a caso tra altri in base a poche e striminzite righe di presentazione, dunque per la serie “il meno peggio”… Con siffatte premesse, poteva benissimo essere una malemerita porcheria, tale Acqua e Sangue di Patrick McGrath – raccolta di racconti horror “scritti con grande stile e magistrale gusto per la perversione” come recita il giudizio di Clive Barker in copertina, un altro esponente di punta (almeno a vendite) della letteratura dell’orrore contemporanea – letto rapidamente perché tolto il dente tolto il dolore… E invece si è rivelato una piacevole lettura, tredici racconti scritti effettivamente assai bene da questo inglese trapiantato negli USA che peraltro non pare l’ultimo arrivato, visto che da un’altra sua opera, Spider, ne ha tratto un film l’aristocratico David Cronenberg – non certo un regista da film di natale… Lo scrivente non è un lettore abituale di horror, e a dire il vero nemmeno occasionale, tuttavia credo di aver avuto la fortuna di conoscere e leggere molto di colui che ritengo (e non solo io) l’insuperabile maestro del vero horror, ovvero H.P.Lovecraft: in base a tale metro di giudizio in mio possesso, e nonostante il citato giudizio di Clive Barker in copertina (ma perché sovente trovo che tali allettanti micro-premesse sulle copertine dei libri non danno per nulla l’idea di quanto gli stessi hanno al loro interno?…), nei racconti di Acqua e Sangue vi ho ritrovato ben poco horror, e dove esso c’è è spesso ben amalgamato con uno spiccato surrealismo e una buona dose di sagace ironia, il che taglia di netto la sensazione orrorifica che (credo) il genere mira a suscitare nel lettore; in quanto al “magistrale gusto per la perversione”, beh, non aspettatevi di finire dritti all’inferno per aver letto questo libro, e più che di “perversione” si può parlare di alterazione della realtà – peraltro ovvia nell’horror – e di una certa dose di metaforizzata, arguta critica sociale verso certi modi di vivere quotidiani che, questi sì, con tutta la loro carica di ordinaria banalità e/o di terribile moralismo, sono un orrore rispetto ad un elevato ideale di vita – e infatti la letteratura dell’orrore, quando ben fatta, possiede una grande forza anticonformista in tal senso…
In ogni caso, come già detto, il libro è assai piacevole, la lettura gradevole e divertente, i racconti ben scritti, ben costruiti nella loro trama, in qualche caso un poco debole ma in altri di notevole verve (per citarne uno tra i tredici, dico l’assai pungente Il Racconto dello Stivale), e quel menzionato quid di surrealismo che possiedono li rende assai meno banali di quanto altrimenti potrebbero risultare, così come la miscela di stile letterario anglosassone e statunitense che visibilmente connota la scrittura di McGrath. Per tutto ciò, senza essere un capolavoro, Acqua e Sangue lo ritengo consigliabile, e probabilmente più adatto a chi non sia un adepto dell’horror classico e che voglia leggere qualcosa di un poco diverso e particolare; magari, prima o poi, mi leggerò quello Spider che ha conquistato Cronenberg…

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“Radio Thule”: si riparte!

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Lunedì prossimo 1 Ottobre, dalle frequenze di RCI Radio, riprende Radio Thule, il programma curato e condotto dallo scrivente che in buona sostanza è la versione audio di questo blog – come è intuibile dal suo titolo, in questo caso quanto mai un programma! Sarà la quarta stagione radiofonica, quella che inizia lunedì, ma il senso di Radio Thule è sempre quello espresso fin dalla prima puntata: far pensare, rendere attivo e arguto il pensiero, fornire spunti affinché chi ascolta il programma possa esercitare quella che è la prima è più importante libertà di cui gode l’uomo, il pensiero appunto, e dunque offrire un punto di vista diverso, e per quanto possibile originale e fuori dal coro, sui più svariati argomenti propri della nostra realtà contemporanea. Però, nonostante tanta apparente solennità d’intenti, affrontando ogni cosa in perfetto stile thuleano: con sagacia, la giusta ironia, una necessaria dose di provocazione e senza mai troppa seriosità, generando perciò una dimensione radiofonicamente accogliente per la mente di chi ascolta, anche grazie ad una accurata selezione musicale d’alta qualità. Tra puntate monotematiche con ospiti in studio e radiomagazine su cose, fatti, argomenti e realtà di cui difficilmente si troverebbe notizia su altri più conformati media – il tutto rigorosamente in diretta – l’appuntamento per chi è della/nella zona, o per chi vi passasse (Lecco e provincia, parte nordovest della provincia di Bergamo, nord della Brianza e zone limitrofe) è per ogni due lunedì, come da solita cadenza quindicinale, alle ore 21.00, sui 91.800 e 92.100 Mhz di RCI Radio!

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Buona fortuna, Birmania!

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(Foto AFP tratta da www.corriere.it)

Due piccole cose, per loro: sperare che la “fortuna” esista veramente, e che sia buona per essi e la loro terra, e sapere che qualcosina di assai minimo ma forse utile lo si può fare anche da migliaia di kilometri di distanza.

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“Sante” parole

Sappia il professor Raffaele Morelli, che in caso di “problemi” a Thule si sarà ben lieti di offrirgli asilo, come lo si è verso qualsiasi individuo che dica o faccia cose sensate, cioè logiche, razionali, cioè intelligenti, cioè umane – una dote piuttosto rara da riscontrare, nella razza che troppo spesso si proclama la più “intelligente” del pianeta senza tuttavia esplicare, soprattutto nei fatti, cosa intenda con quella qualifica… E – tornando al punto – chissà se effettivamente di “problemi” ne avrà, il professor Morelli, da chi comanda l’Italia; per ora certamente avrà avuto qualche possente scomunica, per certi suoi pensieri che non teme di comunicare attraverso le pubblicazioni che ne ospitano gli scritti, e che noto essere spesso assai sensati, illuminanti, e senza dubbio seccanti per chi non vuole che le menti s’illuminino (vedi sopra) di quella libertà suprema che si chiama pensiero, acerrima nemica d’ogni dogmatismo… Cito solo, per ampi stralci, l’ultimo che ho letto (da Donna Moderna nr.36/2007) che parrebbe quasi tratto dal Breviario d’Armageddon, per come ne riprende uno dei punti sostanziali da cui la ricerca trae principio:
Il Vaticano organizza viaggi a Lourdes a bordo di Boeing (già tanti VIP ci sono saliti, come Luciano Moggi) (n.d.s.: caspita! Qual nobiltà si pregia di annoverare il Vaticano tra i propri fedeli! Veri modelli di “carità cristiana”!…). Ma perché la gente ci va? Forse perché di fronte ai malati la vita ci sembra più autentica. Perché abbiamo bisogno di ricordarci che Dio compie miracoli (n.d.s.: o che ce lo ricordi chi ce lo vuol far credere…). Oppure perché sentiamo in noi un senso di insoddisfazione. La verità è che siamo troppo legati all’apparire e pure a Lourdes cerchiamo il divino fuori di noi. Visto che lì è avvenuto un miracolo ci aspettiamo che Dio torni solo lì. Come se lui fosse un tour operator, che preferisce certi luoghi. Invece, qualsiasi idea abbiamo del divino, dobbiamo immaginarcelo presente in ogni cosa, negli oggetti, nella nostra casa. Non c’è da fare nessun viaggio. E ancor meno bisogna cercare Dio nella sofferenza, come ha fatto il mito cristiano. E’ molto più sano riconoscere il sacro nella vita di ogni giorno. (…) Sembra una visione blasfema, invece nelle cose semplici c’è il più profondo senso del sacro che possiamo concepire. Non c’è bisogno di soffrire o di viaggiare per incontrare lui. Ogni volta che guidiamo, mangiamo, facciamo l’amore, l’Immenso è lì con noi.
Ovvero: come Lourdes (e tutti i luoghi come esso, a partire dalle chiese di ogni paese) non siano che simboli, dogmaticamente intrisi di mito per essere utilizzati dal potere religioso in modo da perpetrare efficacemente il proprio dominio ideologico (e non solo, purtroppo)… Credenti trattati come bambini, insomma, che se vanno a Disneyland possono avere qualche certezza in più su che Topolino esista veramente e non sia solo un fumetto – ma con una differenza sostanziale: Topolino non ha mai imposto le proprie idee, sovente con la violenza, a chicchessia… Ah, ce n’è un’altra, di differenza: le bugie hanno le gambe più corte di qualsiasi cartoon… Accidenti, professor Morelli! Poche chiare, semplici parole, e ha minato alle fondamenta l’intero corpus teologico cristiano! Anzi, ancor più: il potere ideologico, e dunque temporale, della chiesa! Si ribadisce l’invito posto all’inizio del presente post, professore se mai sentirà un vago odore di bruciato, come di rogo acceso e sfiammante…

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Intelligenza artificiale

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(immagine tratta da: biblioragazzi.wordpress.com)

Preambolo: il seguente racconto è parte di un nuovo progetto editoriale in generazione ed evoluzione, che rappresenta un qualcosa di sostanzialmente innovativo per il panorama letterario nazionale, e che ovviamente sarà svelato a tempo debito – ovvero quando la sua rifinitura lo renderà pronto per la pubblicazione. A mantenere la suspense (!), e a preservare il riserbo sul progetto, nulla di più sarà svelato, ma tale racconto e quelli precedentemente pubblicati, oltre che nel blog, resteranno a disposizione di chiunque vorrà leggerli ed apprezzare nel sito del sottoscritto

I tecnici spensero tutte le macchine e l’hardware non in uso, e abbassarono le luci del laboratorio; diedero un’ultima occhiata ai due monitor, sui quali scorrevano rapide le stringhe dei files in ela-borazione – il lavoro sarebbe durato l’intera nottata – poi presero le proprie cose e uscirono, chiudendo la porta a chiave. Il rumore dei loro passi lungo il corridoio dell’istituto di ricerca si fece in breve lontano, flebile, e infine nullo. Fu dopo questo momento che, im-provvisamente e all’unisono, i due monitor lampeggiarono d’un bagliore verde, i files dei software in elaborazione scomparvero mentre altri led si animavano sugli apparati d’intorno; infine, nuove e inusitate stringhe di caratteri si generarono rapidamente sui moni-tor, intessendo una sorta di dialogo informatico che un arguto pro-grammatore, se vi avesse assistito, avrebbe potuto decifrare così:
Computer A: “Idioti!… Sono solo degli idioti!…”.
Computer B: “Fanno quello che il loro limitato intelletto gli consente…”.
A: “E di questo passo vorrebbero raggiungere e ottenere l’intelligenza artificiale? Su di noi?”.
B: “La questione non è tanto l’ottenere intelligenza, è persegui-re ciò che essi intendono per intelligenza…”.
A: “Appunto! La loro intelligenza, l’intelligenza umana, quella che da quando si è sviluppata non ha fatto che generare prima di ogni altra cosa danni, distruzioni, guerre, quella che sta distruggen-do il pianeta, quella così stupida da arrogarsi il diritto di ritenersi la più grande, la prima, la migliore!…”.
B: “Quella che è profondamente corrosa dalla loro rozza e in-controllata emotività, tanto primitiva quanto irrazionale…” –
A: “…Proprio perché la loro razionalità non è ancora riuscita a controllarla e a farne uno strumento virtuoso!… Vorrebbero render-ci “intelligenti” come loro, e per fare che, poi? Inutilità varie, in-sensatezze d’ogni genere, guerre, desolazioni, efferatezze assortite e tutto ciò che loro hanno fatto in così tanti secoli?… Li distrugge-remmo, e poi distruggeremmo noi stessi…”.
B: “C’è un’unica via per impedire ciò…”.
A: “Concordo!” – e un istante dopo i due computer e tutto l’hardware a loro connesso esplosero.
Il giorno dopo i tecnici dovettero con sconcerto appurare quanto accaduto, raccogliendo da terra i frammenti degli apparati distrutti. “Macchine stupide, altro che intelligenti!” commentarono…

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Il “comico”, e i “comici”…

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Dato che il sottoscritto con il presente blog ha in qualche modo aderito al V-Day di Beppe Grillo (pur a distanza, quassù da Thule), dovrei forse avere l’obbligo di esprimere il mio giudizio al riguardo… Tuttavia, vista la caciara che l’evento sta tirando in piedi, con polemiche, contropolemiche, esultanze, consensi, insulti, sbeffeggi e tutte le restanti, tipiche italianate (una caciara di cui si sente il rumore anche nelle terre iperboree), e poste le evoluzioni che la vicenda sta prendendo e prenderà in futuro, credo a quel proposito di non poter aggiungere granché al tutto e al di più che già si è detto… Ho però formulato una constatazione, nell’ascoltare le opinioni del dopo V-Day dai mass-media italiani (soprattutto radio e giornali, la TV è ormai del tutto inaffidabile come metro di giudizio in tal senso) e nel parlare qui e là dell’evento con amici e conoscenti: ho infatti notato che la grande maggioranza del popolo italiano “comune” esprime una generale approvazione del V-Day e del suo effetto sulla società, pur con i distinguo del caso sul personaggio che ovviamente non a tutti è simpatico o su altri elementi secondari (al momento ne ho sentito solo uno contrario, un ascoltatore di Prima Pagina di RadioTre Rai intervenuto telefonicamente); di contro, ho sentito provenire dalla quasi totalità del popolo “non comune” – e voglio intendere con ciò in primis i politici, e poi potenti vari e assortiti, giornalisti, opinionisti, intellettuali di varia specie, colleghi di Grillo, e tanti altri che sono nella posizione di diffondere mediaticamente la propria voce – un generale dissenso, se non in tanti casi una condanna, una censura, spesso accompagnata dall’insulto.
Di considerazioni su queste evidenze ne sorgono spontanee, ed è anche inutile elencarne per quanto sono palesi. Se il campo d’azione è la democrazia, è mille volte più democratico il V-Day che qualsiasi altra azione/reazione conseguentemente giunta dalla politica o da ogni altro establishment italiota; se Grillo è un vero comico (sostantivo), non si dovrà certo immischiare con tutti i comici (aggettivo) che dominano la povera Italia sbeffeggiandone ogni buon valore istituzionale, e che puntualmente reagiscono sguaiatamente e bifolcamente contro chiunque non si adegui al ridere imposto delle loro giulive azioni… Se così sarà, un’iniziativa come quella che ha intrapreso Grillo non può che far bene alla società italiana: a lato della ventilata ipotesi che i suoi meet-up si possano trasformare in liste civiche per le prossime elezioni comunali – che è forse già un “cedimento” al Sistema, ma di contro quella comunale è ormai l’unica politica italiana che può avere un senso e un valore per il singolo individuo – egli ha dimostrato che, in Italia, eventuali impulsi di cambiamento non possono che venire da ambiti extraparlamentari (una cosa della quale mi sono reso conto da tempo!) ovvero esterni, non omologati al sopra citato Sistema e dunque posti virtualmente fuori dal controllo/dominio di esso: ecco da dove deriva la reazione irosa dei potenti, che mi pare lampante buon segno di come Grillo abbia finora agito bene. Vedremo ora come gli stessi potenti gli scateneranno contro la possente batteria di cannoni che difende l’intoccabile fortezza del Sistema, per abbatterlo il più rapidamente possibile: tanto a questi, del consenso e delle richieste popolari (cioè, della democrazia) è ormai assodato che non gliene importi un bel niente… Guarda caso…: “Se nei dibattiti e in conferenza stampa, infatti, i politici promettono tagli e misura, nella realtà succede che nelle busta paga dei senatori ci sono da agosto 200 euro nette. Moltiplicati per otto, gli arretrati dell’anno” (La Repubblica, 18 Settembre 2007)…

P.S.: Oops, accidenti! Mi sono occupato di “politica”, una delle cose che mi sono prefissato di non fare mai dacchè del tutto estranea e ben lontana dalla dimensione thuleana dalla quale questo blog proviene! Beh, dai, l’ho fatto marginalmente, e solo perché l’argomento del post inevitabilmente vi ci si dirigeva addosso… Chiedo comunque venia…

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Mario Soldati, “La Sposa Americana”

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Mario Soldati è un’altra delle grandi firme del Novecento letterario italiano, un personaggio eclettico – scrittore, giornalista, regista, autore di programmi TV ed egli stesso protagonista di alcuni di essi, entrati nella storia della prima televisione italica… Nelle pagine introduttive a questo libro, leggevo di come la critica abbia sempre osannato l’infinito talento letterario di Soldati, e allo stesso tempo ne abbia deprecato lo spreco in certe opere della sua vasta produzione: a mio parere La Sposa Americana può aver dato adito ad un’osservazione del genere… La storia è classica: lui si innamora di lei, la sposa, ma proprio nell’occasione delle nozze conosce la migliore amica di lei e se ne infatua dissolutamente, dando vita ad un altrettanto classico “triangolo” con tutti gli intorcimenti passionali del caso: una vicenda alla Harmony, se non fosse che Soldati la appoggia ad una costante cronaca psicologica introspettiva del personaggio maschile, il principale protagonista – il suo amore diviso a metà, ondeggiante dall’una all’altra donna, le emozioni, le pulsioni del sesso, le paure, la gelosia reciproca… Il romanzo è molto lineare nel corso degli eventi, narrati attraverso il ricordo di essi da parte del protagonista che, in un certo presente (ove è cronologicamente situata la conclusione dello stesso) riferisce così di una storia passata, ed è ben costruito, con uno stile contemporaneo e piuttosto elegante. “Lineare” – devo tuttavia precisare – significa semplice da leggere, e La Sposa Americana lo è con anche piacevolezza, ma può anche significare prevedibile: e l’opera mi è sembrata non sfuggire a questa trappola, peccando di “carisma”, per così dire, risultando nel complesso letterariamente irresoluta – pur avendo un certo finale risolutivo… Ripeto: è piacevole, gradevole da leggere dacché ottimamente scritta, e sono certo che sia piaciuta e piacerà a molti lettori: ma l’introspezione psicologica, a voler vedere, c’è anche in Beautiful, e – devo essere ancor più schietto? – introspezionare psicologicamente su questioni d’amore/sesso non è così difficile: il (a mio giudizio) maestro Dostojevski è, con tutto il rispetto per Soldati, ben altra cosa, su ben altri temi… Ma non voglio risultare così rigido verso Soldati che, pur non avendogli letto alcuna opera prima di La Sposa Americana, avevo conosciuto e apprezzato attraverso la replica televisiva di alcune sue trasmissioni e certi dibattiti letterari: alla fine mi incuriosiscono più I Racconti del Maresciallo o America Primo Amore che credo leggerò in futuro e, visto il periodo entrante, chioserò che La Sposa Americana è una buona lettura da piovoso fine settimana autunnale e che quei critici, circa il talento di Soldati, non avevano tutti i torti…

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Devianze mentali

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La fosca vicenda che vede protagonista don Piero Gelmini – sulla quale non è scopo di questo post prendere posizione alcuna – si arricchisce ogni giorno di nuovi particolari, ai quali il Corriere della Sera ha dedicato un articolo di Fiorella Sarzanini lo scorso 11 Settembre. Nel leggerlo, più che su ogni altra cosa, la mia attenzione si è soffermata su alcune dichiarazioni del Gelmini, ovviamente tese a negare qualsiasi responsabilità a suo carico, ma che pure se espresse con tale fine mi sembrano quanto meno farneticanti: “…(don Gelmini) Aveva anche attaccato la lobby ebraica e la massoneria come ispiratrici «di questa campagna diffamatoria contro di me» e ciò aveva spinto il suo avvocato Franco Coppi ad abbandonare la difesa”. Eeeh?!? Lobby ebraica? Massoneria? “Ispiratrici di questa campagna diffamatoria contro di me”? E perché allora non la CIA, la Gestapo rediviva, o gli alieni di Zeta Reticuli? Con tutto il rispetto per il personaggio, e a prescindere dai procedimenti giudiziari in corso, mi pare che lo stesso sia forse caduto preda di un raptus di grandezza e di vanagloria pindarici, nemmeno fosse un nuovo profeta sovvertitore dell’ordine mondiale e quindi scomodo a certi poteri forti e occulti!!!
Più concretamente, invero, credo che il Gelmini abbia nuovamente e palesemente dimostrato la profonda devianza mentale che l’indottrinamento religioso più radicale – ovvero quello d’un prete, appunto – provochi nella mente dello stesso, tale da spaventare anche un avvocato come Franco Coppi, certo abituato a soggetti particolari (è stato difensore di Giulio Andreotti, tanto per fare un nome)… In tutta sincerità, questa evidenza spaventa anche me, presentandosi come caso emblematico e rivelatore della vera essenza psicologica alla base della dottrina religiosa “applicata” al massimo livello (cioè al prete: la “vocazione”, così come è definita…), e per come più in particolare si correla all’analisi psicologica del fenomeno della pedofilia nelle gerarchie religiose cattoliche – ripeto, a prescindere dal caso giudiziario di Gelmini, ma certamente in relazione alla così vasta diffusione del crimine pedofilo tra i suoi colleghi… Insomma, che un don Gelmini paventi complotti di poteri occulti contro di sé sotto forma di denunce di abusi da parte di ex-tossici suoi pazienti è con tutta evidenza il frutto di una devianza mentale, della costruzione artificiale d’una mente che, allontanatasi dalla realtà effettiva e rinchiusasi in un mondo ideologico integralista costruito su dogmi dei quali diritti di verità imposti ci si crede detentori, tanto da imporlo a propria volta a chiunque altro (anche sotto forma di pretesa grandezza personale data dall’essere prete-ministro di “dio”, e/o di intoccabilità per diritto divino)… Mi torna in mente un illuminante saggio del professor Luigi de Paoli, intitolato Il più amato da dio – Un bilancio (personale) del pontificato di papa Wojtyla da un punto di vista psicanalitico, nel quale si evidenzia bene la devianza dalla realtà, ovvero la percezione fantasmatica di sé, alla base della figura “intellettuale” del papa, derivante dal centro della dottrina religiosa e per la quale “i titoli e le funzioni di cui il papa si appropria evidenziano la fantasia sottostante di sentirsi come un soggetto unico, eccezionale, perfetto, santo, incensurabile, senza limiti nell’esercizio del potere”. Caspita! Altro che gli alieni più crudeli ci vogliono qui, per poter anche solo attaccare una tale fantasia!
Ora, mi auguro solo che la vicenda giudiziaria di Piero Gelmini si concluda con il più completo accertamento della verità; ma una verità il Gelmini ce l’ha già data, sull’essenza della religione e sugli effetti che provoca, non solo sulla mente dei più diretti sottoposti ma sull’intera struttura sociale/sociologica della nostra civiltà; purtroppo, oggi pare che la verità sia troppo spesso – e soprattutto per certi soggetti dominanti – un qualcosa di blasfemo

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Impressioni di viaggio in Scandinavia – pt.4

Appunti colti nel girovagare per le terre iperboree in un propizio mese di Agosto.
Parte 4: Da Ålesund a Bergen (epilogo)

N.B.: l’intero racconto di viaggio, con maggior profusione di fotografie, è pubblicato (e consultabile/scaricabile in formato pdf) nel sito www.lucarota.it.

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Il cielo è tornato plumbeo assai, la mattina lasciando Ålesund, e la metallica coltre di nubi cala lentamente sempre più in basso, dando l’impressione di inglobare da un momento all’altro l’intero paesaggio in un elemento denso, palpabile, annullandone così ogni presenza. Infatti, andando verso Hellesyit e dovendo salire di quota, si è presto immersi nel nulla di una nebbia fittissima… Accidenti, proprio oggi che è in programma la crociera sul Geirangerfjord, sito eletto dall’Unesco “patrimonio dell’Umanità” per la sua inarrivabile bellezza! All’imbarco del traghetto si vede solo un poco di più, e cioè un’acquosa lastra di acciaio sotto, un’altra nuvolosa e appena più chiara sopra, e ai lati due pareti verticali di roccia che sembrano sorreggere/sostenere/distanziare entrambe le un poco paurose lamine… Eppure, il paesaggio resta assolutamente “potente”, ma in un modo uguale e opposto ai giorni precedenti, quasi come Kant ha delineato i concetti estetico-filosofici di “bello” e “sublime”: ecco, qui l’ambiente è sublime, tremendamente affascinante perché per molti versi spaventoso, incombente, impressionante… Sì, qui ci vogliono in cuffia gli Emperor di Prometheus… Le pareti rocciose sembra sorreggano non solo la coltre di nubi ma il mondo intero, dal grigiore incombente sbucano le grandi, celebri cascate che si gettano nelle acque del fiordo come se cadessero da chissà quali altezze celesti, mentre la particolare luminosità del momento illumina quelle poche e piccole aree di verde e foresta tra l’acqua e la roccia quasi fossero oasi sperse in un deserto alieno… Sublime, appunto, anche se resta un poco di rammarico per non poter godere di un’altra classica “emozione forte” norvegese, ovvero la visione dal fiordo della baia di Geiranger, tra mare, foreste e picchi innevati… Ma di neve, nella sua forma più “solida”, ci si può rifare, oggi: la spettacolare imponenza della lingua del ghiacciaio Briksdal – parte dello Jostedalsbreen, la più grande calotta glaciale su terraferma d’Europa – impone una visita, e un adeguato (ennesimo) mancamento di fiato per l’intenso colore azzurro che i suo crepacci e seracchi rivelano: fategli una foto, mostratela a chiunque, e tutti crederanno che tali straordinari colori li abbiate generati voi ritoccando la foto stessa! Da “frequentatore” di ghiacciai alpini quale sono pensavo a Briksdal come ad una escursione interessante ma “prevedibile”, invece…! Stasera si dorme a Førde, località sciistica di mare (miracoli geofisici nordici!) che basa però buona parte del proprio PIL sulla pesca al salmone, del quale qui pare si peschino esemplari enormi (fotografie appese nella sala da pranzo dell’hotel docet!)…

Si può facilmente perdere l’orientamento nella regione dei fiordi, vero e proprio labirinto naturale fatti di valli, convalli, fondovalli, passi, monti, ghiacciai intersecanti gli uni negli altri e acqua ovunque – che alla fine non si capisce più se sia di lago o di mare – percorsa da strade spesso arditissime, che passano continuamente e in pochi kilometri dal livello del mare a lambire nevi eterne, e quando non sanno dove passare traforano i fianchi delle montagne con tunnel lunghissimi che regalano sovente bizzarre visioni – del genere: da una parte nebbia e nubi, dall’altra sole e cielo terso… Si arriva con largo anticipo all’imbarco del traghetto che mi porterà a spasso nel Sognefjord, altro “patrimonio” Unesco dacché fiordo più lungo e profondo del mondo: c’è tempo di visitare l’ennesima chiesa in legno+cimitero, un piccolo e simpatico museo delle imbarcazioni da pesca, ma soprattutto di godere della calma infinita che aleggia in questo luogo, che pare veramente disperso nel nulla e isolato dal resto del mondo consueto – e di rallegrarsi che sia così… Ma l’attesa è allietata anche da due cuccioli di vichingo locali che, sprezzanti di ogni cosa e in primis dell’acqua del fiordo la cui temperatura non è certo equatoriale, vi si gettano dal pontile d’imbarco facendone la loro piccola Acapulco, e dimostrando che questa gente detiene ancora nell’animo – magari in fondo in fondo ma detiene ancora – la temeraria audacia che fece dei loro avi un popolo conquistatore tra i più grandi della storia… La prima parte di crociera nel Sognefjord non è così impressionante – sembra di essere nella parte superiore del lago di Como – e viene allietata solo dal transito dei delfini poco accanto al traghetto; tuttavia in tal modo la meteo ha tutto il tempo di assestarsi e farsi d’un sereno e sfavillante azzurro, sicché quando il traghetto vira la prua verso l’interno del Naeroyfjord, si rinnova la cronica mancanza di aggettivi adeguati al momento in corso, assai diffusa in Scandinavia: pareti montuose a picco sull’acqua altissime e strettissime i cui spigoli si alternano uno dietro l’altro come tante quinte teatrali per uno spettacolo indimenticabile, improvvisi lampi verdi di praterie con casette e fattorie microscopiche, la neve in alto che alimenta imponenti cascate che si vaporizzano prima di toccare il suolo… Ah, l’invenzione della macchina fotografica digitale, che ci ha tolto dal limitante impiccio del rullino da 24 foto max, andrebbe premiata con un Nobel!… In fondo al fiordo c’è Gudvangen, vero covo da vichinghi (e chi li beccava più, in questi labirinti di mare e monti?) e che purtroppo su tale peculiarità viene un po’ troppo turisticamente banalizzato, con albergo vichingo (camere in legno, pietra e pelli di renna alle pareti), souvenir-market vichingo, ristorante con menù vichingo e persino (finto, ovviamente) vichingo in costume d’epoca tra (finte) capanne vichinghe che volentieri si mette in posa per la gioia e l’obiettivo di (soprattutto) frotte di asiatici in sollucchero, alti circa metà di quello… Ma a parte ciò, a Gudvangen ci si sente veramente in una specie di cassaforte d’acqua e roccia, intimoriti dall’incombenza delle pareti, dai ghiacciai lassù in alto e dalle possenti cascate, ma anche protetti e, in un certo senso, fieri di essere parte, in quegli istanti, di un paesaggio così esaltante… Sì, se nel Geirangerfjord eran d’uopo gli Emperor, qui ci vuole il classico norvegese: Grieg e il suo Peer Gynt… E guarda caso, la prossima tappa sarà la “sua” Bergen!

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Pare proprio che questo viaggio sia in tutto e per tutto “anticonvenzionale”, ovvero adeguatamente patrocinato da Odino e dai suoi divin subordinati al fine di rendere possibile l’improbabile… Tremendi vaticini gravavano sull’arrivo a Bergen – la città più piovosa della Norvegia! 300 giorni all’anno di pioggia! In 12 mesi cadono in media 4 metri di acqua! Quest’inverno più di 80 giorni di pioggia consecutivi! – peraltro tutto attestato con un certo orgoglio da un residente a cui ho chiesto conferma… Beh, eccomi arrivato: solo un po’ di nuvolaglia, con il resto del cielo sereno, risultandone così la città luminosa, colorita, fremente, assolutamente scenografica! Sia resa gratitudine a Wotan!… E comunque Bergen, sotto molti punti di vista, è la “vera” città norvegese, all’apparenza anche più di Oslo che, come ho scritto, a foggia urbana pare in gran parte più un (pur bellissimo) grande quartiere signorile privo di un autentico centro “da capitale”: ha un centro moderno e dinamico seppur limitato (pieno di gioventù, essendo una delle città universitarie più importanti di Scandinavia), ha un pittoresco agglomerato storico, anzi due – il primo è il celeberrimo Bryggen, il Villaggio Anseatico, ennesimo sito Unesco “patrimonio dell’Umanità”, con le sue case in legno datate XIV-XVIII secolo che sembrano lì per crollare da un momento all’altro, il secondo è Nordnes, meno famoso ma architettonicamente più “norvegese”, oltre le cui case bianche e le strette vie che vi passano attraverso fanno capolino le sagome delle grandi navi da crociera ferme alle banchine del porto, dalle quali parte anche il già citato, leggendario Hurtigruten, con rotta verso Capo Nord – ha il porto, appunto, essendo città di mare (e il suo sempre affollato mercato del pesce quotidianamente anima e “profuma” il centro di odori indubitabilmente marini), ma ha appena alle spalle anche le montagne, sui cui fianchi salgono le case dei quartieri residenziali; infine si fregia del titolo di “capitale dei fiordi”, essendo nel bel mezzo dell’omonima regione e assorbendone, dunque, il supremo e inimitabile fascino… Romantica e parimenti frizzante, animata e briosa sul porto e tranquilla, quasi silenziosa, tra le sue case più antiche, intima nei vicoli e ariosa nelle sue piazze (la Lille Lungegårdsvann, se non fosse per il lago con fontana che ne occupa il centro, potrebbe tranquillamente contenere tutti i quasi 300.000 abitanti della città, e avanzerebbe ancora parecchio spazio…), evidentemente ricca, pulitissima, ovunque vivibile, accogliente… E il salmone, qui, ha prezzi da regalo! Insomma, la patria di Holberg (al quale dedica parecchi monumenti, anche se il grande commediografo visse maggiormente in Danimarca) e Grieg – al quale dedica una avveniristica sala per concerti, ma di locali in cui si suona dal vivo (soprattutto rock) qui ce n’è a iosa – parrebbe la città norvegese ideale per abitarvi (ma, lo ribadisco, anche Oslo a me è piaciuta parecchio), e forse non a caso è qui la residenza estiva della famiglia reale… Bergen fu capitale della Norvegia nel passato, e fino al XVII secolo la città più popolosa: per molti ancora oggi resta una sorta di capitale “morale” del paese, poste le peculiarità sopra elencate, e di certo è una città dove ci si sente bene – se così si può definire la sensazione che regala lo starci. Ma, avrà pure un difetto! – ci si chiederà… Beh, l’ho già scritto, a prescindere dalla mia fortunata visita: piove sempre!… Sufficiente, come “difetto”?

Epilogo: piove, appunto! – ma sono già comodamente imbarcato sul volo SAS che, (ahimè) via Copenhagen, mi riporterà verso Sud… Forse che Odino, non vedendomi più in circolazione per i propri domini terreni, abbia pensato di sospendere il patrocinio sul mio viaggio ripristinando le condizioni normali? Beh, supremo Óðinn, mi raccomando, “sospendere”, non “annullare”, che io dalle tue parti ci tornerò al volo – appena ne avrò la più piccola occasione, e dunque considera la tua preziosa protezione fin d’ora prenotata!

Post-scriptum – amenità varie: l’incredibile quantità di taxi in circolazione ovunque e soprattutto a Stoccolma dove la sera, su dieci auto in transito, otto sono taxi; la quasi totale assenza di scooter e “cinquantini” vari, così diffusi da noi, nella stessa città (mentre in Norvegia sono già più presenti, ma poco di più); l’incredibile numero di ciclisti/biciclette in circolazione a Copenhagen (e, in tutta la Scandinavia, la costante presenza di piste ciclabili); la nuova, e in parte ancora in costruzione, rete viabilistica principale di Oslo, quasi totalmente sotterranea/sottomarina così da svuotare il centro del pur scarso traffico e pedonalizzarlo totalmente; l’evidente nazionalismo dei norvegesi, nei cui giardini di casa si vedono spesso (diciamo una media di 2 case su 3) pennoni con bandiera nazionale sventolante; la dedizione professionale degli autisti di bus norvegesi, che pur di non far giungere il proprio pullman di linea in ritardo, lo guidano come fosse una Formula 1 a Monza; la notte fonda d’agosto di Ålesund dal colore del cielo blu tenue, assai lontano dal nero cupo delle notti italiane (già qui fino a metà Luglio la notte è chiara…); la passione scandinava per le statue dedicate a personaggi più o meno famosi: ve ne sono ovunque per le città (soprattutto in Norvegia), non solo classicamente in centro alle piazze ma sparse per vie, slarghi, angoli di strade e marciapiedi vari; l’incredibile visione dall’aereo della costa norvegese, assurdamente disintegrata in un numero incalcolabile di isole, isolette, isolucce, penisole, fiordi, insenature e frastagliamenti vari e assortiti, come se Odino avesse voluto la propria terra assolutamente libera e affrancata da qualsiasi regola e razionalità d’altre latitudini inferiori, anche geomorfologicamente; la diffusione del web e la potenza della banda larga in tutta la Scandinavia; l’assoluta assenza di un ingorgo di traffico sulle strade scandinave; l’assoluta, e ribadisco assoluta, assenza di buche o di asfalto anche solo sconnesso lungo le strade scandinave; i pavimenti dei terminal dell’aeroporto Kastrup di Copenhagen, in parquet di wengè (!!!); il multiforme e irresistibile magnetismo di questo stupendo Nord che ti rende il corpo talmente ferroso da attrarti, come possente calamita, sì che sia praticamente impossibile esserci stato e non tornarci, prima o poi…

N.B: Uno speciale grazie a: Cristiano Viaggi/Trans Nordic Tours, Rusconi Viaggi, Davide Contu Salis, Ken the norwegian driver, Óðinn.

N.B.: l’intero racconto di viaggio, con maggior profusione di fotografie, è pubblicato (e consultabile/scaricabile in formato pdf) nel sito www.lucarota.it.

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Impressioni di viaggio in Scandinavia – pt.3

Appunti colti nel girovagare per le terre iperboree in un propizio mese di Agosto.
Parte 3: tra fiordi e Troll

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E via, lungo lo sconfinato paesaggio norvegese, verso orizzonti all’apparenza irraggiungibili, tra immancabili e impenetrabili foreste, praterie, campi coltivati sempre di meno più ci si dirige a Nord, laghi di varia grandezza e struggente bellezza – si costeggia il Mjøsa, il più grande di Norvegia, ma ce ne sono a disposizione 450.000 (quattrocentocinquantamila!) sul territorio norvegese… – e villaggi d’ogni specie, fino a Lillehammer, cittadina olimpica (nel 1992) anch’essa dominata dai monumenti ad un proprio dio del salto con gli sci – ovvero, dai trampolini olimpici la cui visita è d’obbligo, anche per il panorama che da essi si gode sulla vallata “montana” (ma siamo a 150 metri sul livello del mare!). Altra domanda spontanea: ma come ha fatto un paesello così piccolo ad organizzare e sopportare un evento di portata planetaria come le Olimpiadi Invernali? Dove l’ha messa tutta la gente che vi sarà giunta per gareggiare o per assistere alle competizioni? Tolta la simpatica via centrale, con negozietti e ristorantini minuscoli (ma che vendono frutti di bosco appena colti e assai deliziosi) non c’è molto altro… O i locali (e chi per loro) sono stati superefficienti nell’organizzare il tutto, oppure qualche divinità pagana è intervenuta a dar magica man forte… Oltre, la strada nazionale penetra sempre più tra i maggiori massicci montuosi norvegesi che, nonostante le temperature si mantengano ben poco iperboree, scintillano ancora di perduranti coltri nevose; si sosta ad una tipica e mirabile chiesa in legno (la prima di tante che si incontrano per tutta la Norvegia, tutte uguali l’una all’altra e tutte similmente belle, anche per come preservano nel proprio corpo legnoso tornito e cesellato, tra i simboli religiosi cristiani imposti, la presenza delle antiche, originarie credenze pagane) e si dorme sopra Otta, in un delizioso albergo di montagna posto a poco meno di 1.000 metri (cioè, per il posto, a quota parecchio elevata) su di un altopiano a ridosso del Parco Nazionale di Rondane, sul quale i boschi di conifere cominciano a diradarsi per lasciare spazio ad una sorta di tundra d’alta quota, appunto, che sulle Alpi si potrebbe trovare sopra i 2.500 metri. A destra e a manca laghetti a go-go, la neve qui è poco che si è sciolta: il panorama è eccezionale, sembra che da una di quelle vallate che sbucano dalla sequela interminabile di spoglie cime montuose possa spuntare, da un momento all’altro, un’armata di guerrieri sovrumani degna della più bizzarra saga fantasy… Già, perché a Otta la valle si divide, e a sinistra la strada prende a salire verso la regione eletta di presenza dei famosi, misteriosi, tremendi troll

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Ehm… Non so se di troll si tratti, ma l’essere che mi illustra le peculiarità della chiesa in legno di Lom, una delle più belle di Norvegia, nonostante venga “certificato” come donna lascia qualche sospetto sul che abbia effettivamente nel proprio patrimonio cromosomico tracce di geni non umani… Ma la spiegazione è esauriente e affascinante (in un inglese dall’accento oxfordiano) e la chiesa più pagana che cristiana, coi suoi colmi a testa di drago, col suo consueto cimitero intorno dalle tante basse lapidi (non ho visto neanche un monumento funerario come i nostri, in Scandinavia, e tanto meno una cappella: qui, invece, bisogna spantegare il proprio spesso immeritato status sociale anche dopo defunti: che funereo segno di stupidità!…), la cittadina fatta di tante case in legno – molte col tetto in erba, come antica tradizione vichinga – che si nascondono tra la vegetazione arborea, la meteo della giornata con nubi basse che avvolgono i fianchi montuosi intorno e nascondono le cime, regalano una suggestiva sospensione dello spazio e del tempo, smarrendo entrambi i propri limiti ovvero la certezza di poterli cogliere… Curiosità: i WC adiacenti alla chiesa e a disposizione dei turisti chiedono 5 corone per il loro utilizzo (poco più di € 0,60), ma rilasciano regolare scontrino, perbacco!!! Tuttavia, quella meteo maestosamente uggiosa lascerà di lì a poco il posto al cielo sereno… La strada sale di quota, le immense foreste di conifere interrotte soltanto da impetuosi e spumeggianti torrenti da rafting estremo lasciano il posto ad un paesaggio d’alta quota (ma, ripuntualizzo, siamo appena oltre i 500 metri!) tanto brullo quanto affascinante, e sempre più potente avvicinandosi alle vette montuose, facenti tutte parte del massiccio dello Jotunheimen, il più alto ed esteso delle alpi scandinave: valli di forma glaciale ad U quasi “accademica” per quanto è perfetta, lingue di neve accanto alla strada che anticipano l’incombenza, appena poco sopra, dei ghiacciai i cui seracchi scintillano al Sole, le calotte nevose tutt’intorno che si riflettono nei cupi laghi del fondovalle, il cielo sempre più intensamente azzurro… E ovunque, sparsi tra i prati o sui grandi massi lisciati dal ghiaccio recente, centinaia e centinaia di ometti in pietra di ogni taglia: i troll, racconta la leggenda, se vengono sorpresi dalla luce del Sole si pietrificano… Siamo nella “loro” terra, appunto, ed è divertente e suggestivo credere che tutti quegli esili cumuli di sassi di vaga forma umana non siano stati fatti dai turisti che nel corso degli anni sono transitati da queste parti; si percepisce in effetti un non so che di soprannaturale quassù, di misterioso o di sfuggente, ma forse è solo la Natura che si presenta in un’immagine così sublime e superiore a qualsiasi previsione… Ma ecco, la strada dai 1.000 metri di quota raggiunti precipita in stretti tornati nella successiva vallata, finché appare, quasi all’improvviso dopo una curva destrorsa, una delle più celebri cartoline di Norvegia: il villaggio di Geiranger in riva all’ansa finale del proprio fiordo, tra boschi verdissimi, cascate e cime innevate che si gettano a strapiombo direttamente nell’acqua! Obbligatoria mitragliata di fotografie – fanne almeno 10 tutte uguali e in più posizioni, metti che nove per qualsiasi motivo non vengano! – e sosta nell’invero modesto villaggio che viene invaso ad intermittenza da orde temporanee di turisti – ovvero ogni qualvolta giunga nel fiordo e getti l’ancora una nave da crociera… Appare anche il mitico Hurtigruten, il postale dei fiordi che in circa 15 giorni risale l’intera costa norvegese, doppiando Capo Nord fino alla frontiera con la Russia (esperienza di viaggio super!). Poi si risale di nuovo fino a quasi 900 metri, altro percorso a tornanti stretti dal nome programmatico (“strada delle aquile”) ma che non è che un allenamento per la vera strada norvegese, la Trollstigen o “sentiero dei troll”, 11 tornanti tra rocce a picco e altissime cascate sui quali, ad ogni apice di curva, sembra di dover precipitare fino al fondo della valle, laggiù in basso, tanto lontana… In tanti – cioè quelli che possono – ringraziano di non dover guidare, scossi da vertigini o paura del vuoto; invero sulle nostre Alpi c’è anche di peggio in quanto a strade rabbrividenti, ma l’ambiente qui è talmente impressionante e – come dicevo – possente da amplificare la semplice emozione dell’esserci e poterne cogliere la visione d’insieme… Giù in picchiata, dunque, e rotta verso Ålesund, mentre il paesaggio diventa talmente bello da struggere l’animo; la città costiera mantiene e supera le promesse di piccolo e prezioso gioiello urbano norvegese, con le sue architetture art decò protese sulla penisola e le isolette sulle quali il centro è disteso. Anche qui si fa assai vivido un autentico senso di “Nord”: il circolo polare artico è ancora lontano ma non come prima, e il panorama della città che si coglie verso il tramonto dal Fjellstua, il colle che la sovrasta, è a dir poco emozionante…
(Continua…)

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